COME NASCE UNA BOTTIGLIA DI PLASTICA

Cercherò in questo spazio di spiegare nel modo più semplice possibile come nasce un flacone di plastica. 

 Partiamo dalla forma che questo contenitore avrà. Essa viene ricavata dallo stampo che è un blocco metallico diviso in 2 metà perfette, tra loro combacianti, ciascuna delle quali ha ricavate nel suo interno una cavità o sagoma, chiamata in gergo tecnico impronta, che rappresenta mezzo design della bottiglia. 

Se chiudiamo le 2 meta il suo interno rappresenta il “negativo” del flacone che nascerà. Tengo a precisare che la tecnologia di costruzione di uno stampo è molto avanzata e costosa. Infine vi è l’ugello soffiatore che in fase di lavorazione andrà a chiudere ermeticamente la piccola feritoia nella parte alta dove si applica il tappo.

Prendiamo ora in esame la materia prima da cui nasce una bottiglia di plastica, che noi in gergo chiamiamo “materiale vergine” o se si sceglie di usare MUTA materiale riciclato al 100%, il materiale è comunque HDPE, polietilene ad alta intensità.

Questi granuli dopo essere stati miscelati insieme ad altri 2 componenti (dei quali spiegherò in seguito) vengono introdotti in un particolare macchinario chiamato trafila od estrusore che fonde questo materiale plastico ad una temperatura di circa 170° e lo fa  uscire dalla sua estremità opposta in modo continuo sotto forma di tubo in plastica molto caldo e malleabile.


A questo punto entra in gioco il secondo impianto chiamato in gergo tecnico soffiatrice, che taglia una parte di tale tubo e lo introduce tra i 2 “mezzi stampi”.
Questi ultimi, essendo la soffiatrice automatizzata si chiudono tra loro imprigionando il tubo caldo al loro interno, lasciandone fuori la parte in alto adiacente alla feritoia del tappo.


A terminare il processo interviene l’ugello soffiatore che dopo aver chiuso ermeticamente la bocca superiore che ancora era aperta inietta all’interno aria compressa. Essa espande la plastica calda rimasta imprigionata dentro contro l’impronta dello stampo per qualche secondo. Da qui deriva il termine “soffiaggio” che descrive questa particolare tecnologia di lavorazione ed il nome del macchinario in “soffiatrice”.

Il ciclo si conclude con l’apertura dei mezzi stampi e l’uscita del flacone dopo di che il processo ricomincia nuovamente.

 Come illustrato dal breve video il flacone uscito dalla soffiatrice non è “finito” in quanto ha ancora collegate delle “eccedenze” che devono essere staccate, chiamate in gergo tecnico  ” matarozze o sfridi”.

 
Infatti per come è strutturata la tecnologia del soffiaggio non è possibile ottenere solo bottiglie. Da qui il problema di cosa fare di queste matarozze che di media rappresentano circa il 85/90% del peso del flacone. Se dovessero essere smaltite come rifiuti, significherebbe che ad ogni contenitore realizzato ne corrisponde quasi uno gettato nella spazzatura. Questo, oltre ad un grave danno ambientale, costituirebbe anche un’enorme spreco di denaro. Da qui nasce quindi una seconda lavorazione, che nonostante sia indipendente dall’estrusione e dal soffiaggio, viaggia comunque parallela ad esse.
Si tratta prima della macinazione, operazione in cui gli sfridi man mano vengono introdotti in un trituratore (chiamato più comunemente mulino) che li riduce allo stato di granellini, ottenendo la plastica di riciclo che noi in gergo chiamiamo “macinato”.

Successivamente si passa alla miscelazione, fase in cui i granellini di matarozza vengono mescolati insieme ai granuli di materiale nuovo ad una percentuale del 50% per entrambi in una macchina chiamata “miscelatore”.

Al termine di tale operazione abbiamo pronto il materiale plastico da introdurre in trafila per il proseguimento della produzione. Tutto questo processo ovviamente è necessario per non sprecare plastica e denaro, ma comporta comunque dispendio di impiantistica, spazio, energia elettrica, manodopera, nonchè tempo.

Per ultimo rimane da spiegare come ottenere i flaconi colorati. In questo intervengono i coloranti (detti anche compounds, masters, pigmenti), anch’essi  prodotti chimici realizzati sotto forma di granuli, che in percentuali molto basse vengono inseriti nella fase di miscelazione insieme al materiale nuovo ed al macinato.

Ovviamente ne esistono altri tipi con lavorazioni uguali o simili che sono il PP (polipropilene) il PET (polietilenetereftalato) ed il PETG (polietilene tereftalato glicolizzato).

 Per pura curiosità, senza addentrarsi troppo nella conoscenza chimica di tali materiali, possiamo descrivere i contenitori realizzati in PE e PP come in una plastica piuttosto opaca, morbida e molto resistente agli urti.

 Il PVC, PET e PETG invece come plastica molto più trasparente, simile al vetro, meno resistente agli urti e sollecitazioni.

Elodi Artusio

Nei week end prendo e scappo Su Wonder Van 🚐🗺
E nel mentre... Plastic Warrior at MUTA 🦋♻️

Condividi questo articolo su:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito è protetto da reCAPTCHA, ed è soggetto alla Privacy Policy e ai Termini di utilizzo di Google.

Scopri tutte le nostre linee prodotti.

Scarica in digitale e non stampare per salvare il pianeta

Richiedi il campionario completo dei nostri flaconi.

Inizia adesso acquistando, per i tuoi flaconi, solo plastica 100% riciclata!

Visita il nostro Shop

Inizia adesso acquistando, per i tuoi prodotti, solo plastica 100% riciclata!